The Yellow Brick Road

Dorothy era ferma, incerta sul da farsi.

I Mastichini erano stati abbastanza chiari su cosa dovesse fare: per tornare a casa devi incontrare il mago, per arrivare dal mago segui il sentiero dorato fino alla Città di Smeraldo.

Così lei aveva preso le  belle scarpette rosse dalla strega che era finita schiacciata dalla sua casa (doveva pur sostituire le proprei scarpe, che si erano tutte rovinate correndo nella tempesta, eh! Non capiva lo sgomento sulla faccia dei Mastichini), aveva preso Toto con sè, e si era avviata per il sentiero dorato. 

Tutto era andato liscio, fino a che non si era trovata ad un bivio, e lo spaventapasseri le aveva raccomandato di prendere la via di destra, tutta danneggiata e piena di buchi. 

<<È perché la usano in tanti, si danneggia e non si fa in tempo a ripararla>> aveva detto (anche se, Dorothy ci stava facendo casa solo in quel momento, non aveva ancora visto anima viva per strada da quando si era messa in cammino), e Dorothy lo aveva ascoltato, ed era andata avanti. 

E tutto era andato male.

Degli alberi le avevano tirato frutta marcia, sassi e terra (una reazione esagerata al suo aver preso una mela, riteneva), e poi si era imbattuta in un taglialegna fatto interamente di latta (che peculiarità!).

Questi l’aveva accompagnata per un po’, ma Dorothy aveva un bruttissimo presentimento; aveva colto il taglialegna a guardarla, in alcuni momenti, ed egli aveva uno sguardo strano mentre la guardava, accarezzando il filo dell’accetta dal manico bianco di osso.

<<...un cuore caldo e pulsante>> lo aveva sentito mormorare alla lama dello strumento. Così ad un certo punto, Dorothy aveva detto al taglialegna che si sarebbe allontanata per andare in bagno, e nel momento in cui il taglialegna era sparito alla sua vista, si era inoltrata in tutta fretta tra gli alberi.

Quindi era lì, le caviglie dolenti, il vestito tutto sporco e piena di paura, incerta su come procedere.

Era certa di aver seminato il taglialegna, ma si era anche allontanata parecchio dal sentiero dorato, e quindi ora doveva capire in che direzione andare. Stava lì a rimuginarci su (A nord? Come si trova il Nord? La Città di Smeraldo si troverà poi a Nord?) quando un rumore la fece sobbalzare, e nel momento in cui udì un ruggito la direzione da prendere divenne chiarissima: lontano da lì.

E quindi riprese a correre per mettere quanta più distanza possibile tra sè e qualunque cosa avesse emesso quel verso (Leone? Tigre? Pantera? Ohimè!), che era probabile avesse una grossa bocca piena di denti affamati.

I cespugli le graffiavano le gambe, i rami le si impigliavano tra i capelli, e quelle scarpette rosse per quanto belle fossero erano veramente scomode e del tutto inadatte alla corsa.

<<Odio questo posto!>> pensò mentre correva.

Quand’ecco che, in lontananza, tra le fronde, scorse uno scorcio di cielo azzurro. Qualche passo ancora e nel blu fecero capolino le acuminate punte di alte torri verdi e brillanti.

<<La Città di Smeraldo!>> girdò Dorothy con sollievo, e malgrado la stanchezza accelerò ulteriormente il passo, sicura che sarebbe stata in salvo una volta raggiunta la città-

Un altro ruggito da dietro di lei, vicino. Quanto vicino? E dov’era finito Toto?

Dorothy si voltò per controllare, e fu in quel momento che, uscendo dal bosco, il suo piede incontrò il vuoto. 

Elphaba, la strega dell’Ovest (come la chiamavano da quelle parti), osservò Dorothy precipitare giù per il burrone senza emettere un fiato, se non quando il suo corpo si schiantò sulle rocce che ne coprivano il fondo, forzando tutta l’aria fuori dai suoi polmoni. Un po’ le dispiaceva, in fondo era solo una bambina, ma allo stesso tempo non potè fare altro che sentirsi sollevata del fatto che se ne fosse andata così; era una morte rapida e indolore. 

E d’altronde, l’ultima volta che un visitatore era arrivato ad Oz dal cielo, erano stati tempi bui. Bui e malcelati da una facciata di progresso, falso e luccicante come gli edifici della Città di Smeraldo, dove l’infido mago aveva preso dimora e tirato i fili del suo sporco gioco per il controllo del regno.

Lasciò la sfera di Cristallo e si avviò per i corridoi del palazzo. Guardò con affetto e rammarico i ritratti del Dottor Dillamond e di Glinda mentre vi passava accanto; povere vittime di una guerra che nessuno avrebbe potuto prevedere.

I cittadini di Oz avevano imparato una importante lezione sui visitatori del cielo.

Elphaba accarezzò la testa di Cicala, la sua scimmia alata più anziana

<<Vola dove è caduta la bambina, e prendile per me>> ordinò. 

Almeno adesso le scarpette rosse di Nessarose sarebbero state sue.

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