Semele

Successe tutto nell’arco di pochi istanti: all’inizio il tepore era simile a quello che provava quando l’Aurora dalle dita di rosa si spostava per cedere il passo al divino Apollo che col suo carro si accingeva a solcare il cielo; quasi subito dopo si era intensificato, e scaldava quanto il focolare che le sue serve approntavano alla sera perché il freddo non le nuocesse durante il sonno. Erano donne sagge e premurose, le sue serve.
Il momento immediatamente dopo però aveva iniziato a bruciare, ricordandole di quella volta in cui, nel tentativo di rubare i suoi dolci preferiti dalle cucine, aveva finito per toccare le braci su cui stavano cuocendo.

Ma non era solo la sua mano a bruciare, questa volta. Il calore le penetrava a fondo sotto la pelle, e la faceva bruciare da dentro. Le braccia, il viso, il petto, le gambe... Bruciava tutto. 

Questa sarebbe stata la fine per lei, lo sentiva. Istintivamente chiuse le braccia intorno al suo grembo, a proteggere il piccolo che aveva cominciato a crescervi dentro. Il calore divenne presto troppo da tollerare per una semplice mortale.

Iniziò a gridare, e così, morì.

Le rive dello Stige erano gremite di anime. Era nervosa. 

Non poteva sperare di traghettare dall’altra parte senza un obolo, e ovviamente non c’era stato tempo perché qualcuno gliene mettesse nella bocca o sugli occhi, viste le circostanze: non era proprio rimasto nulla da poter seppellire.

Trasse un lungo sospiro; vagare sulle rive dello Stige per l’eternità non era quello che avrebbe immaginato nel suo futuro, ma che scelta aveva ormai?

Si avvicinò alla riva per sedersi a contemplare il fiume per un po’. All’orizzonte era apparsa la barca del traghettatore infernale,  ed oltre a quello nulla più. Forse sarebbe stato più facile attendere il resto dell’eternità se avesse saputo quale destino avesse atteso il suo bambino. Era bruciato con lei, quindi si trovava nell’Ade insieme a lei? Qualcosa non tornava, specialmente considerato quello che era successo, e dunque la discendenza del piccolo... poteva essere?

I suoi pensieri furono interrotti dal sordo tonfo prodotto dalla barca che toccava la sponda. Si alzò per fare spazio alle anime provviste di obolo perché salissero. Era morta, ma non per questo avrebbe abbandonato le buone maniere a cui, da principessa, era stata educata! 

Le anime però non si muovevano: perché? Fu allora che si accorse che stavano tutte guardando lo psicopompo; Caronte, in piedi sulla barca, tendeva il braccio verso di lei, invitandola con lo sguardo a salire a bordo. 

“Ma... Io non ho l’obolo!” disse. Caronte non proferì parola, ma i suoi occhi si accesero di una luce non benevola, e ancora una volta le fece cenno di salire sulla barca. Confusa, lei obbedì.

La traghettata sembrò eterna. Caronte spingeva la barca con la maestrìa di chi pratica per anni la sua arte, ed essa procedeva spedita, eppure sembrava che il tempo si fosse fermato. Si guardò intorno cercando un qualsiasi riferimento che le confermasse che si stava muovendo, che stava andando avanti, ma invano. Il paesaggio rimaneva immutato.

Oltretutto, dov’era questo “avanti”? Non aveva un obolo, eppure il traghettatore aveva chiamato lei, e solo lei, a salire a bordo. Dove stavano andando? Caronte non proferiva parola.

Finalmente toccarono l’altra sponda. Caronte la fece sbarcare e lesto diresse la barca verso la sponda opposta, per proseguire con il suo incarico.

L’aria era colma del profumo degli asfodeli in fiore, e lei volle assaporarlo chiudendo gli occhi e inspirando a fondo. Passare l’eternità nei prati di asfodeli era una sorte più desiderabile del vagare sulle rive del fiume Stige, e col tempo avrebbe anche potuto dimenticare ciò che era stato, tutte le sue preoccupazioni terrene.

-Semele.- disse una voce calda e familiare. 

-Mio signore!- esclamò lei, senza osare aprire gli occhi.

-Guardami, Semele.- disse Zeus prendendole la mano -Non temere. Non ti accadrà nulla di male.-

Semele aprì gli occhi: Zeus era imponente e maestoso, rilucente nella sua aura divina proprio come lo era stato nel momento in cui si era rivelato a lei, poco prima che morisse. Sentì gli occhi riempirsi di calde lacrime; era stata una stupida. Aveva lasciato che le sue sorelle seminassero in lei il dubbio che il suo amante non fosse il padre degli dei, ed aveva insistito perché lui le si rivelasse nella sua vera forma malgrado i suoi ripetuti avvertimenti sulle conseguenze che questo avrebbe potuto avere; ora era morta, e la vita che aveva iniziato a portare in grembo era probabilmente morta con lei.

Zeus la prese tra le braccia e la strinse, poi le asciugò il viso. –Non angustiarti troppo Semele, mia dolce Semele. È nella natura dei mortali nutrire dubbi.- Poi scostò la tunica per mostrarle una cosa: cucito malamente sulla coscia del dio, in un sacco semitrasparente, c’era un bambino piccolissimo, non ancora pronto a venire al mondo. Semele guardò Zeus con speranza e confusione.

-È nostro figlio.-  confermò il padre degli dei, poi portò la mano di Semele a toccargli la coscia, perché ella sentisse la forza che radiava dal piccolo. –Egli è forte. Ho la sensazione che diventerà un dio come nessuno che si sia visto finora.-

Rincuorata, Semele accarezzò il bambino con lo sguardo per un’ultima volta. Poi si congedò da Zeus, e si diresse verso i prati di asfodeli.

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